Come cambia la pensione delle donne


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E’ ormai risaputo che anche le lavoratrici, come i loro colleghi uomini, dovranno andare in pensione più tardi e l’innalzamento è previsto già dal prossimo anno.

Infatti, la recente riforma delle pensioni, prevede che dal prossimo 1°gennaio 2014 il requisito di vecchiaia per le lavoratrici dipendenti e autonome salirà rispettivamente di 1,5 e 1 anno, fino a raggiungere dopo altre due revisioni (2016 e 2018) il requisito base di 66 anni.

a) lavoratrici dipendenti settore privato:

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b) lavoratrici autonome e gestione separata:

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*Requisito adeguato alla speranza di vita
**Requisito da adeguare alla speranza di vita

c) Settore pubblico (uomini e donne) restano i requisiti previsti per il 2013.
 Si va in pensione ancora nel 2014 e fino al 2015 con 66 anni e tre mesi di eta’. Il requisito andrà adattato alla speranza di vita nel 2016.

Questo lento ma progressivo aumento ha lo scopo di creare importanti risparmi per le casse dello stato stimati fino allo 0,4% del PIL nel 2031-2040, cioè circa 6,5 miliardi attuali.

L’aumento della durata della vita tocca da vicino le scelte delle donne italiane che si devono equipaggiare per affrontare serenamente il periodo della propria vecchiaia anche a fronte della loro progressiva e aumentata indipendenza economica.

Infatti, se fino alla metà del secolo scorso erano principalmente se non esclusivamente amministratrici dell’economia domestica, oggi sono diventate percettrici di reddito e sempre di più consumatrici esigenti di prodotti e servizi, con un reddito passato dal 2002 al 2007 da 3 a 9,8 trilioni di dollari (con la previsione di arrivare a 15 nel 2014)[1].

Cresce quindi la loro consapevolezza nella gestione delle problematiche legate alla “lunga vita”[2]: più sensibili al tema dell’importanza di avere risorse sufficienti per gestire la fase della “lunga vita” (20,8% vs 16,2% degli uomini), citano tra le maggiori preoccupazioni future quella di non poter godere di una pensione dignitosa (61,6% delle donne vs il 40,6% degli uomini) e di non avere beni di proprietà a cui ricorrere in caso di necessità economiche (40,2% delle donne vs 21,4% degli uomini).

Ma come e quando potranno andare in pensione le pensionate del futuro?

A “salvarsi” da qualsivoglia aumento sono le signore del 1951 che vedranno la pensione a 60 anni, mentre chi ora ha 54 anni sarà la prima a confrontarsi con la nuova misura del governo che fa parti re dal 2014 l’adeguamento graduale dell’età pensionabile delle donne a quello degli uomini:

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previdenza femminile

 

[3]La società di consulenza indipendente Progetica ha simulato quello che accadrà alle diverse tipologie di lavoratrici in base alla loro età e all’inizio della loro carriera. In modo da individuare quando e con quale assegno potranno andare in pensione.

Naturalmente si tratta di stime che scontano un intervallo di oscillazione perché l’attuale sistema previdenziale non consente di sapere con certezza quando e con quanto si andrà in pensione. «I motivi della variabilità sono da ricercare nell’andamento della carriera, del pil italiano e dell’allungamento della speranza di vita», spiega Andrea Carbone di Progetica.

Clicca sull’immagine per ingrandirepensione lavoratrici dipendenti

20enni:
«la forchetta è naturalmente ampia, avendo appena iniziato a lavorare: può variare di 4 anni sul momento del pensionamento e 30 punti percentuali sul tasso di sostituzione», dice Carbone. «Sarà importante monitorare nel tempo come evolverà la carriera (buchi contributivi, livelli retributivi) e pianificare da subito un’integrazione pensionistica, anche inizialmente piccola, approfittando del lungo tempo a disposizione».

30enni e 40enni:
le forchette sono ancora piuttosto ampie sia sul quando che sul quanto. C’è quindi la necessità di analizzare la propria storia contributiva e avere consapevolezza su come potrà evolversi. Sottolinea Carbone: «È necessario il monitoraggio anche del livello di contributi perché la data di pensionamento potrà dipendere dal superamento o meno delle soglie di 1,5 e 2,8 volte l’assegno sociale». Di conseguenza bisognerà aggiornare le proprie strategie di integrazione pensionistica, alla luce dei progetti di vita individuali e familiari e dell’evoluzione delle disponibilità economiche.

50enni e 60enni:
la forchetta è meglio pronosticabile. «In questo caso gli assegni sono un po’ più alti che per le successive generazioni, soprattutto per chi ha una forte componente retributiva nei sistemi misto e contributivo pro-quota», dice Carbone. «Serve il monitoraggio della coerenza tra obiettivi di vita e risorse disponibili e pianificate, nonché del rischio/opportunità di cessare anticipatamente l’età lavorativa» Per tutte le generazioni, la minore aliquota contributiva delle lavoratrici autonome pone queste ultime nell’importanza di affrontare il tema previdenziale, in quanto i tassi di sostituzione sono decisamente più bassi di quelli delle lavoratrici dipendenti.

In conclusione, possiamo affermare che stiamo assistendo ad un cambiamento epocale: da donna amministratrice della casa a donna percettrice di reddito e consumatrice finanziaria esigente. Un’evoluzione della rappresentazione delle donne come “oggetto di protezione” a una che le vede finalmente come un soggetto attivo responsabile della protezione, verso se stesse e verso gli altri.


1 Fonte: Boston Consulting Group, Women Want More, 2008.

2 fonte: indagine AXA-Episteme 2011, “Longevità: tra vita reale e immaginario sociale”

3 Intermediachannel Previdenza, lontane dalla meta Autori: Roberta Castellarin e Paola Valentini – Milano Finanza (Estratto articolo originale)

L’immagine usata nell’anteprima del post è di Ashley Campbell Photography

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